Memorie Artigiane

Farie Geretti

La Farie Geretti s’inserisce nella tradizione dei laboratori artigianali a gestione familiare in cui i segreti del mestiere sono tramandati da padre in figlio. Proprio dal padre Pietro, Antonio Geretti (Cividale del Friuli 1904-1982) eredita l’attività e impara inizialmente l’arte di lavorare il metallo con creatività e attenzione alla tradizione tecnica, per poi affinare le sue capacità frequentando la Scuola di Arti e Mestieri della Società Operaia di Mutuo Soccorso ed Istruzione di Cividale.
Nella sua bottega si trovano gli attrezzi, molti dei quali personalizzati dallo stesso Antonio, adatti a tutte le fasi della lavorazione, dal processo ideativo alla creazione finale. Disegni preparatori, martelli, punzoni, bulini, tenaglie da fuoco, incudini, calchi in gesso fino ai campioni dei lavori realizzati, sono l’espressione della fucina e dell’anima del suo proprietario, che dedicò tutta la vita, con abilità e passione inventiva, a questo mestiere.

Oggi la fucina è aperta al pubblico grazie alla Società Operaia di Mutuo Soccorso ed Istruzione di Cividale e al Comune di Cividale in accordo con gli eredi. Gli spazi sono visitabili previa prenotazione.

La fucina del fabbro

Nelle fucine dei fabbri delle piccole cittadine d’un tempo venivano creati tutti gli utensili in metallo sia che servissero quotidianamente alla casa sia che venissero utilizzati per lavori rurali e di costruzione e abbellimento delle abitazioni: lampadari, alari per i focolari, falci, roncole, serrature per porte, chiavi, lucchetti, parti di aratri, ferri per cavalli, venivano prodotti in una bottega artigiana che risolveva così le richieste sia della città che del contado. Molti fabbri si dedicavano anche alla produzione di oggetti artistici per lo più in rame e ottone servendosi anche di calchi in gesso opportunamente prodotti. Nella fucina, “farie” in friulano, il cuore del laboratorio era rappresentato dalla forgia sulla quale venivano scaldati i pezzi pronti così per essere ”batûs fûr” ossia lavorati a caldo. La forgia poteva essere di varie dimensioni con la base per il focolare in muratura o in ferro. La base sosteneva il materiale refrattario fatto solitamente in mattoni. Nel focolare veniva raccolto il carbone di legna, carbonella, “cjharvonele” e il mantice “fol” era utilizzato per alimentare la combustione. Il fabbro usava una tenaglia con estremità allungate “tenae da fûc” per tenere il pezzo nella fucina e trasportarlo poi sull’incudine, “lincuìn”, un ceppo in ferro molto resistente poggiato su un basamento in legno rinforzato da uno o più cerchi in ferro. Sull’incudine veniva battuto con ritmo scandito il ferro rovente fino a giungere alla forma desiderata e successivamente alla tempratura del pezzo attraverso un repentino raffreddamento in acqua.

Il lavoro del battirame

Sui tavoli da lavoro, morse “smuarses” in ferro o in ghisa bloccavano i pezzi durante l’attività di finitura. Altri attrezzi fondamentali sui banchi: punzoni e bulini “ongjhelis”, strumenti per filettare (praticare un solco all’interno o all’esterno di un cilindro per ottenere rispettivamente madreviti e viti), martelli da cesello “cùrtule/pene” e a testa tonda “tond” per sagomare, mazze in legno “macis” per evitare i segni dei colpi sul ferro caldo durante lo sbalzo, attrezzi per saldare, tenaglie sia da ferro sia per estrarre chiodi e tagliare fili di ferro. Con l’aiuto di questi attrezzi l’artigiano creava anche le dime, sagome che servivano a riportare una forma sul pezzo da lavorare e davano la possibilità di creare elementi prefiniti. I lavori di modellatura come la martellatura (piccoli colpi di martello che producono una trama decorativa), la cesellatura (incisione superficiale tramite punzone o cesello profilatore), lo sbalzo (in cui la decorazione viene prodotta lavorando il retro degli oggetti specialmente di rame), lo stampaggio (in cui la lamina di metallo riceve l’impressione degli elementi decorativi tramite una forma o un punzone realizzato appositamente) erano e sono il più delle volte a freddo.